Ieri abbiamo aperto la nostra scuola Sclopis, come tante altre scuole d’Italia hanno fatto.
Abbiamo invitato i genitori a esserci, e qualcuno è venuto: c’erano italiani, rumeni, marocchini, cinesi.
Se qualche straniero non capiva bene l’italiano, non ne abbiamo fatto un gruppo a parte, sistemato in una stanza diversa da quella in cui si teneva l’incontro. Abbiamo semplicemente provato a parlare più lentamente, a usare parole più semplici, con l’aiuto di chi tra loro ne sapeva di più.
C’erano anche i bambini bilingue di questi stranieri: e dove non arrivavamo noi, c’era il bambino che faceva da traduttore. Sono bambini spesso nati in Italia, sicuramente andati alla scuola materna qui in Italia e magari già anche al nido: bambini che parlano l’italiano esattamente come fanno i miei figli, con un vantaggio in più: che di lingue loro ne sanno due.
Gli italiani e gli stranieri di cui parlo erano in realtà nella maggioranza italiane e straniere. Tutte mamme, un paio di maestre. Tutte donne. Un altro bel gruppo alla ricerca della parità.
A me pare tutto questo un buon esercizio di cittadinanza: di partecipazione alla vita sociale, di impegno, informazione, assunzione di un ruolo attivo.
Si può sempre imparare di più, ma credo che le persone che ieri sera erano a scuola fossero già tutte in possesso di buona parte “delle conoscenze e delle competenze relative a Cittadinanza e Costituzione”, quelle dell’art. 1 del Decreto 137 per intenderci.
AS
giovedì 16 ottobre 2008
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